4 LUGLIO 2007. BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GIUSEPPE GARIBALDI – da Garibaldi200.it e Kore.it

13 luglio 2007

4 LUGLIO 2007. BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GIUSEPPE GARIBALDI – da Garibaldi200.it e Kore.it

Nel 1871 Giuseppe Garibaldi si dichiara membro dell'Internazionale ed aderisce alle idee del socialismo. In una lettera indirizzata a Giuseppe Petroni, direttore de "La Roma del popolo", il generale esprime il suo appoggio per questa. Sua infine la frase: "L'Internazionale è il sole dell'avvenire", scritta in una lettera a Celso Ceretti il 22 settembre 1872. Garibaldi è reduce dalla spedizione compiuta nella Francia Repubblicana contro i Prussiani.
Erminio Pescatori, garibaldino, fonda a Bologna il "Fascio operaio" associazione che raccoglie l'adesione di Andrea Costa.
Marzo-Maggio: Comune di Parigi.
Al XII congresso delle società operaie italiane gli internazionalisti, Carlo Cafiero, Alberto Tucci e Guglielmo de Montel, abbandonano il congresso perché "incompatibile con i veri interessi della classe operaia".
In dicembre, esce a Napoli il settimanale internazionalista "La Campana".
Con la morte del Mazzini, nel marzo 1872, si era chiuso il lato personalistico - non quello più propriamente ideologico - dello scontro del G. con l'intransigentismo repubblicano. Durante il primo decennio unitario e poi in Francia nel 1870 aveva sperimentato e contribuito in qualche modo a determinare all'interno del movimento nazionale una piegatura sociale e politica diversa, un modo più spregiudicato di porsi rispetto a quello tradizionalmente patriottico. Quando, conversando con lo Herzen nel 1854, aveva rivendicato una migliore conoscenza delle masse rispetto al Mazzini, il G. aveva in effetti anticipato un tratto della propria personalità che si sarebbe materializzato più tardi, nel contatto con quelle schiere di giovani che, non tutti di origine borghese, accorrendo per unirsi a lui da ogni dove, gli avrebbero portato aspirazioni e bisogni e istanze non facili da soddisfare se non con una sensibilità più attenta al loro modo di pensare e alla loro cultura, e dunque rifuggendo da ogni condanna pregiudiziale.
Il G. socialista della vecchiaia, che aderisce pubblicamente all'Internazionale e spiega le sue scelte in due famose lettere del 1871 (una del 21 ottobre al mazziniano G. Petroni, l'altra del 14 novembre a G. Pallavicino) non è tanto il prodotto di un'elaborazione teorica quanto il compimento per via empirica di una coscienza sociale sbocciata in giovinezza nel contatto con gli ideali umanitari dei sansimonisti e dei massoni, ma anche del Mazzini, cui è più vicino di quanto all'epoca si ritenesse (tant'è che nel proclamarsi internazionalista precisa che chi predica l'abolizione della proprietà privata, del diritto ereditario, dell'autorità e della famiglia è un provocatore che vuole affossare il socialismo; nell'ottobre del 1872 scriverà addirittura che anche il Mazzini era un "Internazionale" perché "in tutta la sua vita non ha mai smentito il suo culto dell'umanità" [Ciampoli, p. 639]). Nella sua visione, forse semplicistica ma atta a far presa sulle folle che ormai lo avevano elevato a simbolo vivente di un universalismo laico e della sua coscienza critica, da una parte c'era il bene, dall'altra il male, da una parte il parassitismo e la corruzione, dall'altra il lavoro e lo sfruttamento: per questo il G. si sentiva più vicino a M. Bakunin (che nel 1864 gli aveva fatto visita a Caprera) e alla disperata lotta dei Comunardi parigini che al rigore scientifico di un Marx, il quale peraltro non gli aveva risparmiato qualche sprezzante espressione di scherno; ed era anzitutto sul piano dell'umanitarismo che i pionieri del socialismo italiano - ad esempio C. Ceretti o E. Bignami -, gli crescevano a fianco, diffondendo attraverso giornali come La Plebe di Lodi o Il Gazzettino rosa di Milano le prime embrionali idee di riscatto e di giustizia sociale. Più oltre il G. non andò, respingendo sempre le petizioni di principio classiste o collettiviste; tanto che egli, socialista per istinto più che per riflessione teorica, quando, poco prima di morire, volle rianimare la Sinistra italiana e condurla a impegnarsi sui problemi reali e non sulle discussioni, pose alla base della fondazione della Lega della democrazia, nata a Roma nell'aprile del 1879, un programma nel quale spiccavano riforme di grande pragmatismo a lui già care da tempo, quali in primo luogo il suffragio universale, l'istruzione elementare obbligatoria e gratuita ma laica, la soppressione delle corporazioni religiose, la tutela dei diritti civili e della libertà di coscienza. Tra l'altro la sua pluriennale battaglia in favore del suffragio universale si accompagnava spesso a una denigrazione del parlamentarismo e non era in contraddizione con la sua preferenza per una dittatura "temporaria" che, almeno nei momenti di crisi, garantisse al paese una per lui indispensabile unità di comando: "La democrazia - spiegava - è sempre debole in faccia al dispotismo per mancanza di concentramento di potere" (Ciampoli, p. 577). Non a caso a partire dagli anni Settanta aveva cercato un rapporto con il pubblico più immediato di quello che gli potessero garantire i circoli operai o la tribuna di un Parlamento in cui credeva sempre meno, anche dopo l'avvento della Sinistra al potere (fece un'eccezione al tempo del primo esecutivo di B. Cairoli, ma se ne pentì con il secondo, quando ci fu la crisi di Tunisi con la Francia): così prese a inviare ai giornali, in particolare alla Capitale di F. Dobelli lunghe lettere in forma quasi di manifesto in cui prendeva posizione sui più scottanti problemi sul tappeto richiamando i lettori alla necessità di non distrarsi e di non lasciare la politica alle sole istituzioni; e fu significativa la sistematicità con cui, dal 1875 in avanti, trattò la questione orientale battendo ancora il tasto del crollo auspicabile dei vecchi imperi sotto i colpi delle varie nazionalità slave. Sempre in nome della concretezza, ma anche di un'idea di grandiosità che certamente si legava in lui al desiderio di organizzare per l'Italia una degna capitale caratterizzandola come sede del vivere civile, nel 1875 il G. si stabilì a Roma, dove era stato eletto, per presentare e sostenere i progetti per la deviazione del Tevere, la bonifica dell'Agro romano e la costruzione di un grande porto a Fiumicino (più tardi si sarebbe occupato anche del Po e del porto di Genova). Malgrado una permanenza di più di un anno a Roma, non se ne fece quasi nulla; ma il fervore e l'ostinazione con cui il G. patrocinò queste iniziative, presentandole come investimenti che avrebbero avuto il pregio di offrire opportunità di lavoro a masse di disoccupati, procurarono più di un imbarazzo al governo della Destra che, impossibilitato per motivi di bilancio a imboccare la via delle grandi opere pubbliche, pensò di riguadagnare popolarità offrendo al G. un "dono nazionale" di 100.000 lire annue. Nonostante le difficoltà economiche in cui versava per colpa dei figli, il G. rifiutò con sdegno, convinto - dichiarò - che un governo corruttore e affamatore avesse cercato di comprare la sua complicità a spese del contribuente. L'anno dopo, però, giunta la Sinistra al potere, ritenne che non fosse disdicevole accettare.

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